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Mi sono sempre occupato dei problemi sociali, delle discriminazioni che avvengono ogni giorno, sul razzismo, sui disturbi alimentari. Mi dedico pure del buon gusto. Sull'educazione e le buone maniere (che non sono la stessa cosa, eh?).

Critico er mutanda bianca, gli snob inutili, i ragazzi e le ragazze stupide, l'educazione plateale, l'ironia confusa e scambiata in stupidità, mi occupo di un problema maggiormente diffuso, che ti rovina la giornata se davvero sentito.

Il femminicidio.

La donna picchiata, ricattata, umiliata, presa a schiaffi e calci. La donna derisa e giudicata. La donna uccisa e dimenticata. Tutto inizia dal silenzio, dal perdono dopo il primo schiaffo, pugno, calcio. Le giustificazioni al livido procurato, all'occhio nero. Sorrisi finti e rassicuranti da fare e recitare ai propri figli, parenti ed amici. I figli, vittime del silenzio, del finto buonismo familiare. Quel silenzio che ammazza quella cazzo di indifferenza. Quel giudicare che uccide sempre di più perché separarsi, allontanarsi dall'uomo che ti fa del male, non è del tutto semplice, facile, coraggioso.

Ci sono donne che lottano e vincono, donne che spinte dai propri cari denunciano l'accaduto. Donne che, però, sono libere solo da morte e che vengono ricordate per un breve periodo e dimenticate perché non se ne parla più. In quell'angolo della porta, anzi, dietro quella porta dove un bimbo origlia il rumore dello schiaffo ed i pianti silenziosi procurati da quel padre che, invece di insegnarti a lacciare le scarpe, è carnefice.

Lottare, non rassegnarsi e sperare! Sperare su due cose: sulla libertà privata e rimozione dei ricordi.

Quei ricordi che hanno ustionato l'anima!

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